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MAURO MONTALI - Riflessi d'infinito - 8/23 Dicembre 2000 Chiesa di San Pietro, Montelupone

Macerata, 2000

 

Dicono che Isabella sia una discepola di Paul Klee e di Vassily Kandinsky: è possibile, anzi sarà sicuramente vero. Io non discuto, non ci capisco molto, sono solamente un umile cronista di guerra approdato chissà perché a Macerata, ma va bene così. In fondo questa città e questa terra che sono, come sempre, alla periferia dell’impero costituiscono, per così dire, una retroguardia eccezionale in grado di accumulare energie culturali che poi, nel tempo, diventano un beneficio, un motore di ricerca si direbbe oggi, per tutti.
Diciamoci la verità: se Macerata ha conservato, con le unghie e con i denti, la leadership nel territorio (non sarà proprio egemonia, forse non più l’Atene delle Marche, ma un piccolo faro d’orientamento sicuramente sì) è proprio per questo motivo.
La città vista dalla costa o dalla superstrada, sembra morente. Non fabbrica calzature, non ha night-club ed ha quell’ ”odore” medievale che nessuno ha mai cercato di scacciare e con il quale, anzi, tutti felicemente convivono, e tuttavia come si è detto, non solo Macerata è un tesoro di sedimenti culturali importanti ma è soprattutto “sede” di un elemento naturale non esportabile: il talento.
Vogliamo fare un piccolo elenco di maceratesi illustri conosciuti e amati nel mondo? Da Rosa Berti Sabbieti a Dante Ferretti i nomi sarebbero troppi e non è questo il momento per dilungarci.
Bene, Isabella Crucianelli è una dei figli più legittimi di questa storia e del genio collettivo che l’attraversa.
Isabella è bella. Nel senso che è tutto e che ha fatto tutto bene. È madre di tre splendidi ragazzi, insegna, dipinge. È una donna che, in un certo senso, si è sacrificata. Forse, la sua missione originaria era quella dell’artista. Ma la vita, poi, si sa com’è. Epperò ha saputo ritagliarsi tutti i suoi spazi, occupati poi, nel migliore dei modi.
Ma questa presentazione di Isabella Crucianelli non doveva tracciare un suo profilo pittorico “strictu sensu”?
A questo punto, per timidezza culturale, mi tiro indietro e rimando ad alcune critiche recenti. Wladimiro Tulli dice delle sue opere: -“Si tratta veramente di stupori e di immagini, di figure e forme cariche di stupore e meraviglia e di allusività. Immagini stupefatte e stupefacenti, di icone come si dice ormai correntemente, che meravigliano, che vogliono meravigliare anche, stupefare e nello stesso tempo sono meravigliate, attonite”-.
Scrive Valerio Volpini: -“Il lavoro di Isabella non è mai espressione statica…… le sue tensioni spirituali accolgono talune specifiche atmosfere letterarie simboliste da Mallarmè a Verlaine sino ad Apollinaire e ai nostri Campana e Ungaretti”. Incalza il mio amico Hermas Ercoli: -“La mancanza di lirismo classico o romantico è valore artistico che determina in grande misura una nuova figurazione annullata e trasformata in opera d’arte”-.
Cosa aggiungere? Che Isabella, oltre a Klee e a Kandinsky, evoca Max Ernst o Chagall? La nostra artista non solo è una delle eredi del talento maceratese ma, diciamola tutta, è un’intellettuale che dal suo studio di via Ancona, ha saputo mantenere un occhio vigile sul mondo.
Io, per esempio, sono rimasto molto colpito, probabilmente per deformazione personale, dall’opera “Strappo sull’Infinito”. Come non vederci una pagina, che sia Bosnia o Medio Oriente o Africa è del tutto secondario, di rottura di quell’armonia del creato che, in questo “secolo breve” come dice lo storico inglese Eric Hobswbam, troppe volte è successo?
Isabella, in fondo, anche lei è una cronista del presente e, in quanto tale, simboleggia la realtà con quel tanto di disillusione – e lo “stuporis imago” lo fotografa con grande puntualità – che il mondo moderno, questa tela), al Guggheinem Museum c’è un Picasso straordinario. Si tratta del “Moulin de la Galette” dipinto nel 1900, agli albori del secolo breve.
È una scena semplice, di una festa da ballo nella Parigi della Belle Epoque. Eppure bisogna scorgere metafisicamente qualcosa di più dietro quei visi beffardi che sono in primo piano. Picasso aveva capito tutto. In quel quadro c’è tutto il grandioso e struggente dramma che l’umanità con tutte le sue pulsioni e le sue potentissime contraddizioni, si merita.
A New York, (e un viaggio nella “Grande Mela” meriterebbe i soldi del viaggio e del soggiorno solo per “gustarsi” filosoficamente avrebbe percorso, tappa su tappa, nel corso di questi cento anni.
Allora, ecco la mia provocazione: Isabella sarà pure, da un punto di vista tecnico, la figlioccia di Klee e di Kandinsky, non discuto, ma da un punto di vista culturale complessivo però non state a sentire cattivi maestri. Isabella Crucianelli risiede, a buon diritto, nel cielo dell’intuizione e nella cultura del dubbio.

 

Mauro Montali

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